Grazie al contributo del professore Roberto Di Maria – ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università Kore di Enna – l’associazione “Prospettiva Futura”, guidata da Alessandra Iannì, continua la campagna di informazione sul referendum costituzionale del 4 dicembre, al fine di chiarire le ragioni che conducono ad esprimere parere favorevole e votare SI’.
Abbiamo posto al professore Di Maria alcune domande – dichiara Alessandra Iannì – al fine di chiarire i contenuti di questa riforma ed offrire un contributo di approfondimento a tutti i lettori
Professore Di Maria, quale è il cuore della riforma costituzionale?
Il pilastro che regge la riforma è il superamento del sistema bicamerale c.d. “simmetrico”, in cui entrami i rami del Parlamento svolgono le medesime funzioni, per introdurre un sistema c.d. “asimmetrico”, in cui Camera dei deputati e Senato della Repubblica svolgeranno funzioni diverse: condivideranno, ma soltanto in parte, la funzione legislativa; la funzione di indirizzo politico sarà svolta dalla sola Camera dei deputati; la funzione di controllo sul Governo sarà suddivisa fra le due Camere, in base alle rispettive competenze.
Come cambia il Titolo V della costituzione?
L’ordinamento territoriale della Repubblica si comporrà di: Comuni, Città metropolitane, Regioni e Stato, con l’abolizione delle Province; alla luce della conflittualità estrema prodotta dalla riforma del 2001 – e certificata da quindici anni di contenzioso costituzionale – il “nuovo” Titolo V, Parte II, prevede la abolizione della potestà legislativa c.d. “concorrente” fra Stato e Regioni, semplificando il sistema di riparto delle competenze e valorizzando il c.d. “interesse nazionale” per la tutela del quale si stabilisce la competenza prevalente del Legislatore statale; per contro, a fini di bilanciamento, le Regioni e gli Enti territoriali saranno istituzionalmente rappresentati nel “nuovo” Senato della Repubblica.
Quali saranno le nuove funzioni di Camera e Senato?
La Camera dei deputati non cambierà, rispetto allo status quo: continuerà ad esercitare la funzione legislativa – sia bicamerale, sia monocamerale – e quella di indirizzo politico; quest’ultima, tuttavia, in via esclusiva: sarà soltanto Essa, infatti, a votare (e revocare) la “fiducia” al Governo; né cambia la sua composizione, che resta di 630 membri.
Il Senato della Repubblica cambia, sia in composizione sia in funzioni: si passa da 315 a 100 senatori; i senatori saranno 95 elettivi e 5 di nomina del Presidente della Repubblica; dei 95 elettivi, 21 saranno sindaci e 74 consiglieri regionali, eletti dalle comunità territoriali (Regioni e Comuni) di provenienza, e resteranno in carica per la durata del loro mandato da sindaco o consigliere. Quanto alle funzioni, il Senato è configurato quale “Camera di rappresentanza delle autonomie territoriali” – come emerge chiaramente dalla sua composizione, testé illustrata – e dunque non svolgerà più funzione di indirizzo politico con il Governo (i.e. non voterà più la fiducia al Governo) e la sua funzione legislativa sarà limitata alle sole “leggi” elencate nell’art. 70 (ad esempio, leggi costituzionali; leggi elettorali; tutela delle minoranze; etc.) potendo esercitare una funzione di mera “proposta” alla Camera dei deputati per la approvazione delle leggi c.d. “monocamerali”. Il ruolo principale sarà, quindi, di organo nel quale rappresentare, elaborare ed attuare gli interessi degli Enti territoriali nei confronti tanto dello Stato (i.e. del Governo) quanto della U.E.
Quali vantaggi avrà l’Italia dalla modifica della Costituzione?
Lo scopo della riforma è, principalmente, di semplificare il rapporto “politico” che ricorre fra il Parlamento ed il Governo; tale scopo è perseguito mediante il superamento, appunto, del bicameralismo “simmetrico” o “paritario” e, dunque, tramite il riconoscimento alla sola Camera dei deputati del potere di votare e revocare la fiducia al Governo. In tal modo si dovrebbe assicurare maggiore stabilità al Governo, maggiore trasparenza nel rapporto fra Potere legislativo e Potere esecutivo – la cui attività programmatica e di governo non sarebbe più “ostaggio” delle variabili maggioranze parlamentari riscontrabili, com’è accaduto almeno negli ultimi 30 anni, fra le due Camere – e, quindi, consentire una più lineare attuazione dei punti del programma presentato dal Governo e votato dalla maggioranza parlamentare (alla sola Camera dei deputati) ed una più celere adozione dei provvedimenti necessari alla implementazione delle politiche pubbliche.
L’iter legislativo sarà semplificato? In che termini?
Il procedimento legislativo si articolerà in due tipologie: bicamerale e monocamerale. Quello bicamerale somiglierà, in tutto e per tutto, a quello attuale; sarà però limitato alla sola approvazione delle leggi tassativamente elencate nell’art. 70, che hanno ad oggetto o grandi temi di politica generale, istituzionale e costituzionale o di interesse regionale e locale (leggi costituzionali; leggi elettorali; tutela delle minoranze; attuazione dei trattati U.E.; leggi di attuazione dell’art. 117, etc.) nonché la legge annuale di bilancio. Tali leggi dovranno essere approvate, nel medesimo testo, sia dalla Camera dei deputati sia dal Senato della Repubblica.
Quello monocamerale, invece, avrà ad oggetto tutte le altre leggi repubblicane (statisticamente, circa il 95%) che saranno approvate, in via esclusiva, dalla Camera dei deputati. Nell’ambito di tale procedimento, il Senato è titolare di un potere di proposta ed emendamento del testo già approvato dalla Camera, “richiamandolo” ed – eventualmente – modificandolo; tuttavia, entro i tempi tassativamente stabiliti dall’art. 70, sarà poi sempre la Camera dei deputati a votare ed approvare – o non approvare – in via definitiva il testo. A ciò si aggiunge il c.d. “voto a data certa” (i.e. 75 giorni) per i disegni di legge presentati dal Governo e che si ritengano indispensabili per l’attuazione del programma politico.
In tal modo il procedimento legislativo largamente prevalente (i.e. quello monocamerale) dovrebbe svolgersi in tempi più rapidi e, comunque, entro i termini scanditi già nel testo costituzionale; e, ancora più importante, il contenuto dei provvedimenti dovrebbe davvero rispecchiare il rapporto politico e di fiducia ricorrente fra Parlamento e Governo, caratterizzandosi dunque come realmente attuativo del programma che il Governo ha presentato alla Camera dei deputati e che la maggioranza parlamentare, ivi presente, ha approvato al momento del voto di fiducia.
La riforma attribuisce maggiori poteri legislativi all’Esecutivo, cioè al Governo?
La riforma non modifica alcuno degli articoli della Costituzione che disciplinano il Governo, se si eccettua il riferimento al c.d. “voto di fiducia” che sarà dato dalla sola Camera dei deputati; i poteri e le funzioni del Governo, de ministri e del Presidente del Consiglio restano identici a quelli attualmente previsti.
Come saranno tutelate le opposizioni?
Per la prima volta nella storia repubblicana, la Costituzione prevedrà l’obbligo – in capo al Parlamento – di approvare ed introdurre, nei propri regolamento, il c.d. “statuto della opposizione”, grazie al quale l’organizzazione dei lavori parlamentari si dovrà svolgere in modo tale da assicurare alle minoranze gli opportuni strumenti di opposizione agli indirizzi politici della maggioranza. In più, sono stati rafforzati tutti gli strumenti di democrazia diretta già presenti in Costituzione (i.e. è stato abbassato il quorum strutturale del referendum abrogativo; è stato previsto l’obbligo, per il Parlamento, di deliberare sulle proposte di legge di iniziativa popolare) e ne sono stati introdotti di nuovi (i.e. il referendum consultivo e propositivo).
Quale impatto ha la riforma sul rapporto Stato-Regioni?
Dopo un quindicennio di conflitti, passati anche attraverso i giudizi della Corte costituzionale, dovuti ad una revisione del Titolo V, Parte II, della Costituzione che già nel 2001 presentava diversi punti critici, l’attuale disegno di legge costituzionale mira ad una effettiva semplificazione del modello descritto dagli artt. 117 e 118, innanzitutto mediante la abolizione della potestà legislativa c.d. “concorrente” e la rivitalizzazione della tutela del c.d. “interesse generale”; nonché – ulteriormente – mediante la allocazione, a livello statale, delle materie implicanti la garanzia dei diritti fondamentali.
Le regioni a Statuto Speciale, come la Sicilia, sarebbero penalizzate da questa riforma?
Ai sensi dell’art. 39, la riforma del Titolo V, Parte II, della Costituzione contenuta nel disegno di legge di revisione costituzionale non si applica alle Regioni a Statuto speciale per le quali, dunque, lo status quo non cambia, almeno fino alla approvazione delle modifiche ai relativi Statuti.
Perché il cittadino dovrebbe votare sì a questa riforma costituzionale?
Il superamento del bicameralismo paritario assicurerà un migliore bilanciamento dei poteri fra il Parlamento ed il Governo, oltre a semplificare sensibilmente il procedimento di approvazione delle leggi, determinando così maggiore stabilità di governo nonché maggiore trasparenza politica nei rapporti fra maggioranza ed opposizione; identico bilanciamento assicurato peraltro, nei rapporti fra lo Stato e le Regioni, dalla modifica del Titolo V, Parte II, in armonia con i recenti asserti – in materia – della Corte costituzionale. È una riforma che rafforza gli strumenti di partecipazione democratica e rinvigorisce il principio, da tanti anni sbiadito, di responsabilità politica delle istituzioni e del corpo elettorale.